La Suprema Corte – con l’ordinanza 17 settembre 2019, n.23153 – torna ad occuparsi del c.d. danno catastrofale ovvero lo stato di sofferenza spirituale sopportato dalla vittima nell’assistere al progressivo svolgimento della propria condizione esistenziale verso l’ineluttabile fine. La risarcibilità di una siffatta voce di danno in capo agli eredi della vittima presuppone per la S.C. la prova – in concreto – della effettiva coerente e lucida percezione dell’ineluttabilità della morte imminente della vittima.
Nel caso di specie: gli eredi di tizio – deceduto a seguito di un sinistro – convenivano in giudizio i responsabili per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni iure ereditatis.
Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 190.000 in favore di R.G. nonchè di Euro 180.000 in favore di V.B. a titolo di danno non patrimoniale conseguente alla perdita del rapporto parentale, riconoscendo altresì il danno patrimoniale da compensare con la rendita Inail; Il gravame proposto dai convenuti veniva respinto indi la vertenza approdava in Cassazione ove (con unico motivo) veniva deodtta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c. con particolare riferimento alla voce di danno di cui si discute. La Suprema Corte, in primo luogo, delimita il perimetro e la natura dei danni non patrimoniali risarcibili alla vittima e trasmissibili ‘jure hereditatis’, come segue:
– danno biologico’ (cd. ‘danno terminale’) determinato dalla lesione al bene salute, quale danno-conseguenza consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del danneggiato dal momento della lesione fino all’exitus. L’accertamento del danno conseguenza è per la S.C. questione di fatto la quale presuppone che le conseguenze pregiudizievoli si siano effettivamente prodotte, necessitando a tal fine che tra l’evento lesivo e il momento del decesso sia intercorso un ‘apprezzabile lasso temporale’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1877 del 30/01/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15491 del 08/07/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22228 del 20/10/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23183 del 31/10/2014);
– ‘danno morale cd. soggettivo’ (cd. ‘danno catastrofale’ o da lucida agonia), consistente nello stato di sofferenza spirituale od intima (paura o paterna d’animo) sopportato dalla vittima nell’assistere al progressivo svolgimento della propria condizione esistenziale verso l’ineluttabile fine-vita. Trattandosi di danno-conseguenza, l’accertamento dell”an presuppone per la S.C. la prova della ‘cosciente e lucida percezione’ dell’ineluttabilità della propria fine (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6754 del 24/03/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7126 del 21/03/2013; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014); Quanto al c.d. danno catastrofale nello specifico, viene dalla S.C. richiamato il noto orientamento di cui alla Cass. S.U. 15350/2015 – Cass. Sez. 3, 23 marzo 2016 n. 5684 e Cass. Sez. 3, 19 ottobre 2016 n. 21060, che definiscono la distinzione tra il danno biologico e il danno psicologico-morale propri della fase terminale della vita rilevando che il diritto al risarcimento del ‘danno biologico terminale’ è configurabile – e quindi trasmissibile jure hereditatis – ove intercorra ‘un apprezzabile lasso di tempo’ tra la lesione e la morte, essendo irrilevante che durante tale periodo la vittima abbia mantenuto lucidità, presupposto invece del diverso danno morale terminale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico, oggetto del presente ricorso e già rinvenibile, in S.U. 11 novembre 2008 nn. 26772 e 26773, come sofferenza che si prova per la consapevole percezione dell’ineluttabile approssimarsi della morte; Viene quindi tracciata la soglia di risarcibilità come segue. Può escludersi la risarcibilità del danno da perdita del bene ‘vita’ qualora il decesso si verifichi immediatamente – venendo meno allora il soggetto cui sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio può essere acquisito il relativo credito risarcitorio – o ‘dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali’ in tal caso sussistendo la mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo, in base a S.U. 15350/2015. Profilo, questo, non rilevante nel caso in esame; Può riconoscersi, di contro, risarcimento del danno nel caso in cui la vittima subisca delle lesioni mortali che però producono l’effetto esiziale a una distanza di tempo da quando si verificano. In questo caso, infatti, durante l’intervallo di tempo la persona è inserita nel sistema giuridico come soggetto ‘capace’ di essere titolare di diritti (mantenendo la capacità giuridica, ex art. 2) con la sussistenza di un danno rapportato alla durata del tempo che separa la lesione – inferita a soggetto titolare di capacità giuridica dalla morte – evento che, giuridicamente, sopprime la capacità giuridica. Nell’intervallo temporale tra la lesione mortale e la morte, matura sempre un danno biologico stricto sensu (ovvero danno al bene ‘salute’) nonchè un danno morale peculiare, improntato alla fattispecie, ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (definita agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus; Ciò che conta è l’effettiva percezione della vittima non assumendo alcuna preponderanza ai fini valutativi “il lasso di tempo” che intercorre tra il fatto e l’evento morte. Occorre in sostanza accertare, caso per caso, se la vittima era lucida indi capace di percepire la sua tremenda situazione, tale da non poter non indurre quantomeno il forte timore della morte imminente e lo strazio per l’abbandono dei congiunti. Elementi questi da porre poi a base della determinazione del quantum risarcitorio che potrà vedersi trasmesso jure hereditatis agli eredi. Avv. Egidio Oronzo
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