E’ quanto ha stabilito la Sentenza numero 28220/2019 della terza sezione civile della Corte di Cassazione pubblicata il 4 novembre 2019.
Una siffatta voce di danno spetta ai familiari anche se l’invalidità del paziente, riportata causa l’errore medico, è solo parziale.
Va, infatti, risarcito il sacrificio a carico dei parenti della vittima in quanto tale e non solo la sofferenza per la menomazione subita.
Nel caso di specie: i congiunti richiedevano il risarcimento – alla struttura ed al medico ivi operante – dei danni causati dalla omessa diagnosi di una “endocardite infettiva” – da cui era risultata affetta la medesima vittima di errore medico – all’atto delle dimissioni successive ad un intervento di valvuloplastica mitralica percutanea.
Stante la omessa diagnosi, seguiva notevole peggioramento della paziente la quale doveva sottoporsi, di guisa, ad un nuovo intervento invasivo di sostituzione della valvola mitralica con esecuzione di tracheotomia.
Di qui la sopravvenuta necessità di continua assistenza domiciliare ed ospedaliera, stante la inabilità temporanea di oltre un anno della vittima, cui seguiva il “grave turbamento e mutamento delle abitudini di vita dell’intero nucleo familiare”.
Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano negato il danno c.d. riflesso in capo ai parenti per il mutamento delle abitudini di vita, atteso il difetto di prova circa la effettiva dipendenza della dannneggiata.
Secondo la Suprema Corte, invece, il risarcimento del danno non patrimoniale può spettare anche ai prossimi congiunti della vittima di lesioni personali invalidanti, “non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso”. Corrolario di quanto sopra: “la prova del danno non patrimoniale, patito dai prossimi congiunti di persona resa invalida dall’altrui illecito, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni, sempre che l’esistenza del danno non patrimoniale sia stata debitamente allegata nell’atto introduttivo del giudizio”.
Per i giudici di legittimità: “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d’ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato”.
Nella fattispecie oggetto di esame: “Deve considerarsi che anche un’invalidità parzialmente invalidante possa comportare, oltre al dolore per la menomazione del congiunto, anche la necessità di un impegno di assistenza (e, quindi, un apprezzabile mutamento peggiorativo delle abitudini di vita di chi la presti) a carico degli stretti congiunti; né la circostanza che l’assistenza sia motivata da vincoli di affetto e solidarietà propri dei rapporti familiari vale ad escludere che il congiunto non subisca concreto pregiudizio per la necessità di adattare la propria vita alle sopravvenute esigenze del familiare menomato”.
Avv. Egidio Oronzo