L’AVVOCATO ‘PASSA’, SENZA AUTORIZZAZIONE, L’INCARICO AD UN COLLEGA. ENTRAMBI RESPONSABILI VERSO I CLIENTI

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La Cassazione (sentenza n. 1580/18) torna a esprimersi su un argomento decisamente delicato, quale quello dell’avvocato che “subappalta” senza autorizzazione l’incarico ad un altro difensore.

La pronuncia offre, inoltre, importanti riflessioni sulla possibilità di un’azione diretta nei confronti dell’avvocato senza mandato, con importanti risvolti in merito all’operatività dell’assicurazione professionale di tale difensore.

La vicenda è abbastanza peculiare e a tratti anche piuttosto assurda.

A seguito di un incidente aereo verificatosi nel 1977, alcuni familiari ed eredi delle vittime agivano in giudizio nei confronti del Ministero della Difesa per il risarcimento del danno, dando mandato ad un avvocato.

Il Tribunale respingeva la domanda.

Seguiva l’appello, per il quale alcuni familiari ed eredi davano mandato al medesimo avvocato.

Tuttavia, detto avvocato, senza essere stato autorizzato dai suoi clienti, dava a sua volta mandato ad litem ad un altro legale, il quale provvedeva a redigere l’atto di appello.

La Corte territoriale pronunciava una sentenza di condanna generica contro il Ministero della Difesa, in favore degli istanti indicati in epigrafe, tra i quali però non comparivano i nominativi di tutti gli interessati. Per errore, alcuni di essi non erano stati indicati nell’atto di appello.

Seguiva un’azione di responsabilità promossa contro entrambi gli avvocati affinché ne venisse accertata la responsabilità professionale per aver omesso di indicare i nominativi dei clienti nell’atto introduttivo del giudizio conclusosi con la sentenza di condanna generica nei confronti del Ministero della Difesa, facendo così perder loro il diritto al risarcimento del danno per la morte dei congiunti.

Il Tribunale accertava e dichiarava la responsabilità solo del ‘primo’ avvocato (quello a cui i clienti avevano dato mandato di proporre appello), assolvendo il secondo.

In appello anche il secondo difensore viene condannato.

La vicenda arriva in Cassazione e gli Ermellini dichiarano la responsabilità di entrambi i difensori.

Un responso che non sconvolge.

Da una lettura attenta del codice civile, infatti, è facile rendersi conto di come il ragionamento svolto dalla Corte sia in realtà lapalissiano.

Innanzitutto, la procura è un atto unilaterale contenente un conferimento di poteri ‘intuitu personae’. Pertanto, il rappresentante processuale non può sostituire altro a sé nell’esecuzione dell’incarico ricevuto, a meno che tale facoltà non gli sia stata espressamente conferita.

Orbene, ne consegue che la legittimazione del sostituto del mandatario o del procuratore a compiere atti efficaci nella sfera giuridica del ‘dominus’ richiede necessariamente una esplicita autorizzazione da parte di quest’ultimo anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 1717 c.c., il quale si limita a regolare la responsabilità del mandatario per aver sostituito altri a sé senza esserne autorizzato.

Infatti, qualora la procura alle liti conferisca all’avvocato il potere di nominare altro difensore, deve ritenersi che essa contenga un autonomo mandato ad negotia (non vietato dalla legge professionale né dal codice di rito), che abilita il difensore a nominarne altri, i quali – attenzione – non sono semplici sostituti del legale che li ha nominati, bensì, al pari di questo, rappresentanti processuali della parte.

Ma tale circostanza non fa venir meno la corresponsabilità del secondo difensore per il suo operato nei confronti dei clienti del primo.

Il contratto d’opera professionale è rapportabile alla più ampia categoria del contratto di mandato, perché instaura con il cliente il rapporto gestorio, relativo, se il professionista è un avvocato, al gestire professionalmente la posizione della parte in relazione ad una determinata questione giuridica, sia essa connessa con una attuale o futura controversia o meno.

Il mandato, pur essendo caratterizzato dall’elemento della fiducia, non è tuttavia necessariamente basato sull’intuitus personae, per cui al mandatario non è vietato, di per sé, avvalersi dell’opera di un sostituto, a meno che il divieto non sia espressamente stabilito oppure si tratti di attività rientrante nei limiti di un incarico fiduciario intuitu personae.

Se non fosse che il mandato professionale è invece caratterizzato esso stesso dall’intuitus personae, in quanto è il contratto il cui oggetto è la prestazione professionale di quella determinata persona che il cliente individua in ragione della particolare competenza e quindi della fiducia che in essa ripone, determinandosi a svolgere, tramite il professionista, una determinata attività nella quale non si impegnerebbe in mancanza di una persona di fiducia alla cui professionalità appoggiarsi.

Quindi, a prescindere dalla problematica connessa all’esistenza o meno di una procura con poteri di sostituzione, il mandato allo svolgimento di un incarico professionale non ammette sostituzione che non siano autorizzate.

Tirando le somme, a quali conclusioni possiamo giungere?

Che a fronte dell’illecita attività dell’avvocato che, in sostituzione dell’unico avvocato incaricato dai clienti e senza l’autorizzazione dei clienti, si sostituisca all’avvocato di fiducia, compiendo attività processuali non autorizzate con esito pregiudiziale per i clienti stessi, i clienti possono agire direttamente nei confronti del sostituto per farne accertare la responsabilità.

E l’assicurazione professionale?

Essa risponde di ogni danno provocato dal professionista nell’esercizio della sua attività professionale. La conseguenza è ovvia.

 

Tant’è.

 

Egidio Oronzo

Avvocato