Irregolarità urbanistiche: tutela dell’acquirente o lotta all’abusivismo?

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Quale irregolarità urbanistica formale o sostanziale determina la nullità del negozio traslativo?

La vicenda prende le mosse dall’azione avviata al fine di accertare, in capo all’attore, la proprietà di una serie di beni fittiziamente intestati a familiari e, da questi, alienati, pur in presenza di una situazione urbanistica non del tutto regolare.

Il giudizio di merito si era concluso con un nulla di fatto ed anzi era stato confermato il non accoglimento della declaratoria di nullità dei negozi traslativi degli immobili in esame, nonostante una serie di difformità urbanistiche.

La seconda sezione della corte di legittimità con la sentenza del 30 luglio 2018 n.20061, chiarisce alcuni aspetti sulla portata della nozione di irregolarità urbanistica e sulla distinzione tra variazione essenziale e variazione non essenziale dell’immobile dedotto in contratto rispetto al progetto approvato dall’amministrazione comunale, ma con una articolata ordinanza,  rimette alle Sezioni unite la valutazione circa la nullità degli atti che abbiano ad oggetto immobili urbanisticamente non legittimi, sull’assunto che debba essere contemperata l’esigenza di contrasto all’abusivismo edilizio con quella di agile circolazione dei beni.

I diversi orientamenti giurisprudenziali in ordine alle conseguenze di una difformità urbanistica rispetto all’effettivo stato dell’immobile sono stati, infatti, diversi e si sono succeduti nel tempo, anche a causa di una legislazione stratificata.

Proviamo a fare ordine.

Inizialmente, la giurisprudenza affermava il carattere relativo della nullità degli atti giuridici aventi ad oggetto terreni abusivamente lottizzati e degli atti aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, essendo tali nullità decretate soltanto ove da detti atti non risultasse che l’acquirente era a conoscenza, rispettivamente, della mancanza di lottizzazione autorizzata e della mancanza della concessione.

Successivamente, si è affermato il carattere assoluto (e, quindi, rilevabilità d’ufficio e deducibilità da chiunque vi abbia interesse) della nullità di ogni atto di trasferimento senza l’allegazione, per i terreni, del certificato di destinazione urbanistica, e, per gli edifici, senza l’indicazione degli estremi della licenza o concessione ad aedificandum (rilasciata eventualmente in sanatoria) ovvero, in mancanza, senza l’allegazione della domanda di sanatoria corredata dalla prova dell’avvenuto pagamento delle prime due rate dell’oblazione edilizia.

In applicazione del principio generale per il quale non è possibile la convalida degli atti nulli, si è allo stesso modo esclusa la possibilità di una successiva conferma degli atti viziati.

Nel 2013 si è, poi, affermata la nullità degli atti tra vivi con i quali vengono trasferiti diritti reali su immobili laddove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria; sanzionando così specificamente la violazione di un obbligo formale, imposto al venditore, al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene stesso attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Pertanto, nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche.

Il problema sollevato nella vicenda in commento attiene, più che altro, all’intensità della difformità tra immobile e concessione, pur se molto difficile da accertarsi.

Tanto più che, secondo alcuni, nel caso, ad esempio, di contratto preliminare avente ad oggetto il trasferimento di immobile costruito sulla base di una regolare concessione edilizia ma avente una parziale difformità rispetto al permesso di costruire, per la presenza di un aumento non consistente della volumetria realizzata che, pur superando i limiti del progetto approvato, non abbia dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile, i promittenti venditori non possono rifiutarsi di prestare il consenso alla stipulazione del definitivo per una asserita incommerciabilità del bene.

Oltretutto, ai sensi dell’ art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia), l’irregolarità urbanistica che non oltrepassa la soglia della parziale difformità dalla concessione (nella specie, presenza di scala esterna) non impedisce l’emanazione della sentenza ex art. 2932 c.c. (esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo.

Quindi tutela dell’acquirente o lotta all’abusivismo?

Ad avviso della Corte un ripensamento in merito alla natura formale o sostanziale della nullità urbanistica è d’obbligo per bilanciare le esigenze del contrasto all’abusivismo (che potrebbero dirsi sufficientemente tutelate dalla nullità formale derivante dalla mancata menzione nell’atto di trasferimento degli strumenti concessori dell’immobile) e le esigenze di tutela dell’acquirente nel caso di difformità (non rilevate o qualificate come parziali e non essenziali) dell’immobile dal titolo concessorio menzionato nell’atto.

Staremo a vedere.

La parola alle Sezioni Unite.

 

Egidio Oronzo

Avvocato