Una storia che sembra una barzelletta, ma è quanto accaduto realmente.
Un fumatore conveniva in giudizio le società produttrici e distributrici di sigarette, il Ministero delle Finanze e il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni conseguenti al tumore polmonare contratto a causa del fumo.
L’uomo aveva iniziato a fumare in giovane età, circa due pacchetti di sigarette al giorno, e sosteneva di aver preso coscienza della pericolosità del fumo solo dopo aver cominciato ad avvertire i primi sintomi della malattia, riuscendo a smettere di fumare quando il medico lo aveva avvertito delle conseguenze nefaste che sarebbero derivate nel caso in cui avesse continuato a fumare.
La decisione del Tribunale di Roma, che rigettava la domanda, veniva confermata dalla Corte d’appello sulla base della non sussistenza del nesso di causalità tra le condotte dei convenuti e i pregiudizi lamentati dai congiunti del danneggiato, nel frattempo deceduto.
I parenti del fumatore proponevano ricorso per cassazione lamentando la violazione dell’art. 2050 c.c., in connessione con l’art. 2043, ovvero dei principi in tema di responsabilità aquiliana per l’esercizio di attività pericolosa (la produzione e commercializzazione di prodotti da fumo).
La Corte di cassazione rigettava il ricorso negando il risarcimento in favore dei parenti del fumatore morto a causa del tumore polmonare (Cassazione civile, 10 maggio 2018, n.11272, sez. III).
La sentenza in commento è interessante perché affronta due delicatissimi profili correlati ai danni da fumo attivo, ovvero:
Con riguardo al primo profilo, può dirsi accertata la sussistenza di una relazione di causa-effetto tra il fumo di tabacco, specie se prolungato e non moderato, e la comparsa di numerose patologie soprattutto polmonari di cui il fumo favorisce comunque il rischio di insorgenza.
La circostanza che il fumo nuoccia gravemente alla salute costituisce da lungo tempo fatto notorio e questo, ancor prima dell’introduzione degli avvisi di legge (“il fumo uccide”), con la conseguenza che il fumatore e, in caso di decesso, i suoi congiunti non possono dolersi dell’omessa informazione sul punto.
Ciò significa che non è possibile attribuire al produttore e distributore di sigarette la responsabilità per non aver provveduto a rendere noto con apposite informazioni la grave nocività del fumo e, dunque, i rischi che corre il fumatore per la propria salute, consentendogli di compiere scelte informate e responsabili sulla pratica del fumo.
Nell’accertamento della responsabilità del produttore di sigarette occorre allora valutare il “peso” da attribuire alla condotta dello stesso fumatore nella produzione del danno.
La Cassazione ha ritenuto che la condotta del fumatore abbia costituito un atto di volizione libero e consapevole, in grado di porsi come antecedente esclusivo dell’evento dannoso, dovendosi pertanto escludere la responsabilità del produttore in base alla considerazione dell’efficacia causale assorbente del comportamento del solo danneggiato.
E cosa ancora più importante, l’accertamento del nesso causale deve essere anteposto al giudizio relativo all’imputazione della responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c., con la conseguenza che l’insussistenza di tale nesso rende irrilevante l’accertamento sia di un’eventuale colpa, sia di un’eventuale responsabilità cd. speciale.
Per affermare la relazione causale tra la pratica del fumo e il danno alla salute deve, peraltro, considerarsi l’incidenza di possibili fattori alternativi (predisposizione genetica, fattori ambientali, fattori occupazionali, con esposizione a materiali cancerogeni in uso nelle attività produttive industriali o artigianali, etc.), astrattamente idonei a determinare l’insorgenza della patologia da cui è risultato affetto il fumatore e tali da escludere l’efficienza causale della condotta del produttore/distributore di sigarette, in base al procedimento logico della causalità negativa.
Occorre, dunque, che la patologia contratta dal fumatore possa considerarsi, secondo i criteri scientifici, conseguenza altamente probabile dell’uso del tabacco.
Per poter escludere la colpa del fumatore dovrebbe provarsi che la libertà di scelta nel consumo di sigarette sia stata coartata a causa della dipendenza generata dal tabacco e/o da altri elementi presenti nel prodotto; ciò nondimeno, è tutt’altro che certo che il tabagismo, ovvero l’abitudine o dipendenza dal fumo di tabacco, provochi l’annientamento della volontà del fumatore, determinando uno stato di costrizione tale da impedirgli l’abbandono di tale vizio.
In conclusione, ritenuto che la dannosità del fumo costituisce da lungo tempo un fatto socialmente notorio, il comportamento dell’uomo deve ritenersi causa esclusiva dei danni.
Del resto, a rigore di logica, le sostanze contenute nelle sigarette non possono annullare la libertà di scelta del fumatore, e pertanto non si può ritenere che la condotta di quest’ultimo sia stata da sola sufficiente a determinare l’evento.
In altri termini, è insussistente il nesso causale poiché, nel caso concreto, l’uso smodato (o l’abuso) del prodotto, nonostante la consapevolezza del carattere nocivo dello stesso e dei rischi connessi, ha costituito causa prossima, di per sé sufficiente e idonea a elidere qualsiasi relazione tra questo e la condotta del produttore di sigarette.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour l’insussistenza del nesso causale esclude anche la responsabilità ex art. 1218 c.c.
Egidio Oronzo
Avvocato