Immaginiamo per un attimo un mondo senza telefoni, tablet, computer o peggio…senza internet.
Peggio di un film horror, non è vero?
Inutile negarlo, siamo ormai “adottivi digitali”, perfino sotto l’ombrellone non riusciamo a spegnere lo smartphone.
Eppure, anni fa ci si accontentava di poco…etc. etc. etc.
Moralismi a parte, l’avvento di internet ha stravolto tutto, anche il modo di lavorare.
Pensiamo agli avvocati, tanto affezionati al caro uso bollo, oggi impegnati a parlare di pec, certificati e chiavi di lettura.
Ormai la vita si è spostata su internet. Sul web si fanno acquisti, amicizie, si guardano film, documentari, si tengono riunioni, webinair etc.
Ma un popolo che migra, lo fa portandosi dietro usi e costumi.
Alzi la mano chi non ha mai litigato su WhatsApp! Nessun problema se con un po’ di diplomazia si riesce a risolvere tutto con una call su Skype. Ma come la mettiamo se si finisce in Tribunale? Cosa andrò a dire al Giudice?
Giurin giuretto mi hanno diffamato su instagram?!?
Bisogna chiedersi che valore probatorio abbia un documento informatico, ma prima di tutto capire che cosa sia documento informatico.
Possiamo dire per iniziare che oramai si è in grado di conferire valore legale probatorio a qualsiasi documento informatico, rispettando le caratteristiche richieste dai giudici.
Il documento informatico può essere definito come una rappresentazione informatica di un contenuto (atti, fatti o dati) giuridicamente rilevante.
E questo non lo dico io ma è la definizione usata dal Codice dell’Amministrazione Digitale (Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e s.m.i.), il quale prevede soluzioni differenti a seconda che poi al documento sia o meno apposta una firma elettronica:
Le e-mail sembrerebbero (almeno all’apparenza) documenti privi di firma.
Il loro valore probatorio sarebbe da rinvenirsi nell’art. 2712 c.c. alla stregua del quale le riproduzioni informatiche fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate solo se colui contro il quale sono prodotte non le contesti tempestivamente disconoscendone la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Ma a ben vedere l’e-mail è, a tutti gli effetti, un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice. Pensiamo per un attimo allo user id e alla password utilizzati per accedere alla casella di posta elettronica, questi ultimi sono veri e propri mezzi di identificazione informatica. Senza contare che dagli headers (informazioni contenute in un blocco di testo) è possibile risalire all’indirizzo del mittente, ora, data, oggetto e persino il tragitto effettuato dall’e-mail per giungere a destinazione.
Quindi si è in presenza di una vera e propria firma elettronica, dotata di tutti i requisiti previsti ex lege, il cui valore probatorio è liberamente valutabile dal giudice.
Diverso (e migliore) è il caso delle PEC, queste ultime sono documenti sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ed hanno l’efficacia di scrittura privata prevista dall’art. 2702 c.c.
Anche gli SMS sono considerati rilevanti ai fini probatori.
Essi sono legalmente inquadrati come corrispondenza, quindi con valore di forma scritta.
Affidandosi a professionisti del settore si può essere in grado, oggi, di recuperare SMS anche da cellulari rotti e non più accessibili.
Le conversazioni in chat su WhatsApp, Telegram, Facebook e altre chat rientrano nella dicitura di forma scritta di cui è possibile certificare l’autenticità grazie a un account personale o numero telefonico intestato. Quindi anche le chat sono considerabili come probatorie.
Tuttavia esiste una differenza fondamentale tra chat acquisite in tempo reale e quelle acquisite post invio.
Se il messaggio vocale viene “captato” in tempo reale, ossia nell’esatto momento in cui viene trasmesso al destinatario, si tratterà di una comunicazione, intendendosi con tale terminologia l’interazione tra due soggetti (mittente e destinatario), attraverso la trasmissione di dati digitali dal contenuto riservato tra due elaboratori fisicamente distanti ma collegati tra loro tramite una connessione internet. Diversamente, se il messaggio vocale viene “captato” successivamente, ossia nel momento in cui è già pervenuto al destinatario, ovvero nel momento in cui il medesimo attiva la connessione internet in precedenza disattivata, ricevendolo, si tratterà di un documento informatico archiviato nella memoria.
È una differenza sottile, ma importante, perché nel primo caso si pone il problema di chiarire quale strumento debba ritenersi concretamente applicabile per ricercare l’elemento di prova: l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche (ex art. 266 c.p.p.) ovvero l’intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche (ex art. 266-bis c.p.p.). Nel secondo caso il messaggio vocale è già pervenuto al destinatario pertanto, trattandosi di dati ormai giunti a destinazione che verranno archiviati nella memoria, non potranno più essere considerati oggetto di un flusso di comunicazione, ma documenti informatici in quanto tali equiparabili al documento “tradizionale” rappresentativo di una determinata realtà.
Ciò che appare sullo schermo del nostro computer quando accediamo ad un sito internet non è altro che la replica, scaricata nella memoria di lavoro del nostro PC, delle informazioni presenti sul sito che stiamo visitando.
Si tratta, quindi, della «rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» o, in altri termini, di un documento informatico.
La pagina web (così come i messaggi di posta elettronica non muniti di firma elettronica o i messaggi di testo SMS) è dunque un documento che può essere introdotto nel giudizio come prova anche se non sottoscritto.
Il codice civile disciplina numerosi documenti che possono già costituire prova nel giudizio: il telegramma (art. 2705 cod. civ.), i registri domestici (art. 2707 cod. civ.), le annotazioni del creditore a margine dei documenti in suo possesso (art. 2708 cod. civ.), le scritture contabili prodotte contro l’imprenditore (art. 2709 e ss. cod. civ.), le copie delle scritture (art. 2714 e ss. cod. civ.), e, cosa più importante, le riproduzioni meccaniche (fotografiche, informatiche o fonografiche) di atti o fatti (art. 2712 cod. civ.).
Il problema in quest’ultimo caso è, semmai, estrapolarle.
Esistono tantissimi metodi utilizzati dagli studi di analisi forense per certificare lo stato di un normale documento informatico in una determinata situazione nel tempo, che possono conferire ai documenti normalmente impiegati un valore di indizio o prova informatica. Questi metodi sono riconosciuti da tutti i paesi firmatari della convenzione di Budapest del 2001, ratificata dall’Italia con la Legge 18 marzo 2008, n. 48.
L’applicazione di queste metodologie permette di presentare documenti informatici dotati di valore probatorio adottando misure dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne la distruzione.
Egidio Oronzo
Avvocato