Tutto era iniziato l’anno scorso, con una sentenza della Cassazione (prima sezione) del 10 maggio 2017 n. 11504 che aveva rivoluzionato il tema: i Giudici avevano stabilito che l’assegno di divorzio non doveva più garantire il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma doveva essere parametrato alla capacità economica e reddituale del coniuge più debole.
In estrema sintesi la Corte rimarcava sì la natura assistenziale dell’assegno che trova titolo nella sentenza di status divorzile, ma sottolineava come questa misura solidaristica non spetterebbe al fine del mantenimento del c.d. tenore di vita matrimoniale, a favore del coniuge svantaggiato richiedente, ma semmai ad assicurarne “la condizione personale atta a condurre una esistenza libera e dignitosa, improntata al criterio generale dell’autoresponsabilità dei singoli”.
Ciò comportava, quindi, la verifica di 2 requisiti:
Il possesso di redditi correnti, della casa d’abitazione od altra similare condizione sociale, secondo l’enumerazione esemplificativa offerta dalla stessa Corte di legittimità, impediva pertanto il riconoscimento di tale diritto all’assistenza post-coniugale.
L’interessante sentenza del 2017, colpiva non tanto per il risultato quanto per l’ardita analisi sociologica compiuta dalla Corte: dalla considerazione oggettiva della precarietà del rapporto lavorativo, all’infruttuosità del denaro ed al peso costituito dal possesso degli immobili non destinati ad abitazione principale.
Ammesso, per un momento, che al giudice competa procedere all’analisi dei fatti strutturali-sociali-economici, come rilevante ai fini del decidere (anche se un tipico apprezzamento è riservato alle aule parlamentari, in rappresentanza della sovranità popolare), piuttosto che la disamina specifica della fattispecie (coinvolgente una professoressa di liceo ed un medico), scorrendo la sentenza si rimane ad un certo punto, comunque, increduli, nel momento in cui il suo dato di fondo (diciamo pure filosofico), è rappresentato dapprima dall’affermazione secondo la quale “entrambi i coniugi lavorano ed appartengono alla media borghesia intellettuale”, e poi, dal confronto tra la professoressa che “si accontenta” di circolare utilizzando una “fiat panda” ed il medico che invece “possiede” una “mini minor”.
Tutte argomentazione valutative pregne di pregiudizi ma senza rilevanza giuridica.
Al di là del risultato finale, che evidenzia non pochi eccessi, stupisce ancor più la motivazione che la sorregge: gli elementi giustificativi rinvenuti dalla Prima Sezione sono “gli obblighi di aggiornamento e di decoro che la professione di docente di ruolo in uno dei più rinomati licei impone, e l’accompagnamento della figlia per le gare nei diversi circoli di golf, che comportano oneri aggiuntivi, difficili da sostenere senza il contributo divorzile”.
Il panorama di altre sedi non era dissimile: le corti di merito hanno mostrato grande difficoltà nel coniugare il diktat normativo della Corte alla molteplicità dei casi concreti.
In questa babele giudiziaria la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 18287/18 arriva come un fiume nel deserto.
Le Sezioni Unite risolvono finalmente il contrasto giurisprudenziale e chiariscono che il giudice, nel determinare l’assegno a favore del coniuge economicamente più debole, deve procedere alla “valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali”, dando “particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo”.
Motivano la propria decisione sottolineando inoltre che “contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale”.
All’assegno divorzile deve, quindi, attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa ed ai fini del riconoscimento dello stesso, si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa predetta, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età̀ dell’avente diritto.
Tornano in auge, quindi, i principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo.
Egidio Oronzo
Avvocato