sentenza Tribunale di Bologna del 15-05-2018
In un’epoca dove ogni pretesa diventa diritto spesso dimentichiamo quali sono i veri diritti da proteggere e tutelare.
Per esempio il diritto ad ottenere lo status di APOLIDE per avere un permesso di soggiorno.
APOLIDE è quel soggetto che non è considerato cittadino da nessuno Stato in base al proprio ordinamento giuridico.
Esistono due tipi di apolidia, a seconda che l’apolidia sussista dalla nascita o si verifichi successivamente con la perdita della cittadinanza di uno Stato senza acquisizione della cittadinanza di un altro Stato, e si parla quindi di apolidia originaria o successiva.
Facciamo un esempio di apolidia originaria.
Un bambino che nasce da genitori il cui Paese riconosce la cittadinanza solo a chi nasca sul proprio territorio. Se tale bambino nasce all’estero, non sarà cittadino in base alla legge dei genitori. Se il Paese in cui il bambino nasce ha una disciplina sulla cittadinanza che non attribuisce la cittadinanza a chi nasca sul proprio territorio o l’attribuisca solo nel caso vengano integrate ulteriori condizioni, quel bambino rischierà di essere apolide.
Facciamo un esempio di apolidia derivata.
Uno Stato dichiarare la perdita della cittadinanza di una persona non gradita al Governo, con la conseguenza che questa persona ne perderà la cittadinanza.
In Italia, per ottenere il riconoscimento come apolide si può optare per:
– la via amministrativa;
– la via giudiziaria.
Banalmente, in un caso, ci si rivolge alla pubblica amministrazione, nell’altro ad un giudice.
Il procedimento amministrativo presenta due vantaggi di non poco conto rispetto a quello giudiziario:
a) è semplice,
b) costa molto poco.
Tutto facile, se non fosse che lo stesso ha, tuttavia, anche due grossi svantaggi:
1) l’amministrazione riconosce l’apolidia solo se il richiedente ha tutti i documenti previsti dalla legge (tra cui permesso di soggiorno e atto di nascita);
2) l’amministrazione ha un orientamento restrittivo (cioè anche se si hanno tutti i documenti, l’amministrazione adotta in genere l’orientamento meno favorevole alla concessione dell’apolidia).
Quando parliamo di apolidia, parliamo di “cittadinanza” nella sua versione negativa: l’apolide è il non cittadino. Per capire chi è apolide, quindi, bisogna capire chi, per un determinato Stato, è cittadino.
Ecco allora che per provare l’apolidia di una persona, bisogna necessariamente conoscere la legge di cittadinanza di riferimento di uno Stato.
Ecco perché una delle maggiori difficoltà sia per il richiedente lo status di apolidia che per i giudici o l’Amministrazione è proprio la conoscenza del contenuto della legge straniera.
Facendo un esempio estremo, una persona potrebbe anche risultare cittadina di un determinato Stato, sulla base della legge sulla cittadinanza, ma se poi questo Stato non la riconosce come propria cittadina quella persona potrà essere riconosciuta come apolide. E’ sufficiente un documento del Consolato che preveda che “Tizia non è cittadina dello Stato”.
Fino a qui niente di nuovo, i documenti rilasciati dalle autorità dello Stato con cui si ha un collegamento dove si attesti che una certa persona non è cittadina certamente rilevano nel procedimento volto all’accertamento della condizione di apolide.
Ma ciò non basta poiché i documenti consolari devono essere integrati da un’analisi sostanziale della legge sulla cittadinanza.
Dunque, imprescindibilmente, la prova dell’apolidia richiede la produzione di documenti e l’analisi delle leggi sulla cittadinanza rilevanti.
Una prova dell’apolidia che essere in alcuni casi davvero complessa.
Il richiedente potrebbe non riuscire ad ottenere documenti ovvero avere anche difficoltà nel reperire la legislazione straniera o, infine, come nel caso oggetto della pronuncia che si allega, ritenere di non avere una cittadinanza ma essere privo degli strumenti per dimostrarla.
Su questo punto la Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che “l’onere della prova gravante sul richiedente lo status di apolide deve ritenersi attenuato, poiché quest’ultimo beneficia, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente, di un trattamento giuridico analogo a quello riconosciuto ai cittadini stranieri titolari di una misura di protezione internazionale; ne consegue che eventuali lacune o necessità di integrazioni istruttorie per la suddetta dimostrazione possono essere colmate mediante l’esercizio di poteri – doveri officiosi da parte del giudice, che può richiedere informazioni o documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale possa ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo” (Cass. 3 marzo 2015, n. 4262).
Dalla sostanziale assimilazione della condizione della persona che chiede l’accertamento dello status di apolide a quella dello straniero che richiede la protezione internazionale discende l’equiparazione dei regimi probatori del relativo giudizio di accertamento.
Non solo requisiti formali dunque, ma anche e soprattutto una valutazione complessiva della situazione sostanziale.
Il primo desiderio di un apolide è quello di avere un permesso di soggiorno. La legislazione italiana in materia di apolidia è lacunosa e purtroppo non vi è una chiara norma che dica: “chi ottiene il riconoscimento come apolide ha diritto al permesso di soggiorno di apolidia della durata di 5 anni”.
Fortunatamente, la quasi totalità delle Questure, a fronte della prova del riconoscimento, in via amministrativa o giudiziaria, dello status di apolidia, rilasciano un permesso di soggiorno.
Sì, ma quale permesso di soggiorno? Qui la prassi è varia.
La maggior parte delle Questure rilasciano un “permesso per apolidia”, altre un permesso per motivi umanitari, in altri casi, è stato rilasciato il permesso per residenza elettiva.
Non è sicuramente lo stesso. Sul punto, sarà dunque necessario colmare le lacune normative, comunque, non dovrà essere accettato alcun permesso che non preveda, con il suo rilascio, il diritto a svolgere tutte le attività che l’apolide ha diritto di svolgere in quanto tale.
Egidio Oronzo
Avvocato