“La necessità di prestare giuramento e la mancata acquisizione della cittadinanza che, in sua assenza, ne consegue possono determinare una forma di emarginazione sociale che esclude irragionevolmente il portatore di gravi disabilità dal godimento della cittadinanza”
Questo è quello che stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 258, depositata il 7 dicembre 2017.
Ma nel 2018 la disabilità può davvero impedire l’acquisto della cittadinanza?
La pronuncia riportata trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 l. n. 91/1992 (Nuove norme sulla cittadinanza) nella parte in cui prevede l’obbligo di prestare giuramento per l’acquisto della cittadinanza, anche laddove tale adempimento non possa essere assolto dalla persona affetta da disabilità a causa della sua condizione patologica.
Paradossalmente, quindi, in assenza di giuramento, il decreto presidenziale di concessione della cittadinanza non potrebbe essere trascritto nei registri dello stato civile.
Le motivazione addotte sono, però, alquanto discutibili.
La norma censurata contrasta, infatti, in maniera evidente con l’art. 2 della Costituzione, perché non permettere al disabile psichico l’acquisizione di un diritto fondamentale, quale sarebbe lo status di cittadino. Escluderlo da questa possibilità significherebbe non garantirgli tale diritto solo a causa dell’impedimento determinato dalla sua condizione psichica di natura personale.
Senza contare che la disposizione violerebbe anche l’art. 3, comma 2, della Costituzione: l’impossibilità di prestare giuramento costituirebbe, infatti, un significativo ostacolo che impedirebbe, di fatto, la piena libertà ed eguaglianza del disabile affetto da infermità psichica: sussisterebbe, quindi, una disparità di trattamento tra individui sani, in grado di prestare giuramento, e quanti sani non siano in quanto affetti da disabilità e che, per effetto della mancata prestazione del giuramento, non possono acquistare lo status civitatis.
Pieno ed evidente è, poi, il contrasto anche con la disciplina internazionale e sovranazionale ed, in particolare, con l’art. 18 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone disabili, ratificata e resa esecutiva con la l. n. 18/2009, nonché con gli artt. 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Ma, filosofia del diritto a parte, la dura lex a volte rasenta il paradosso.
L’art. 10 l. n. 91/1992, in seguito alla concessione allo straniero della cittadinanza italiana, avvenuta con decreto del Presidente della Repubblica sulla base dei requisiti previsti dalla medesima legge, ne subordina la trascrizione nei registri dello stato civile alla prestazione del giuramento di esseri fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi: l’acquisizione dello status di cittadino non risulta possibile, perciò, nel caso in cui la persona non sia in grado di prestare detto giuramento a causa di una grave disabilità psichica.
L’art. 54, comma 1, Cost., che impone al cittadino il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi, trova concreta espressione, per lo straniero, nella prestazione del giuramento, manifestazione solenne di adesione ai valori repubblicani. Il giuramento richiesto dalla disposizione impugnata è, quindi, un atto personale, che attiene direttamente al diritto costituzionale, in ragione dei valori incorporati nella sua prestazione: in quanto tale, non può essere reso da un rappresentante legale in sostituzione dell’interessato, secondo le norme del codice civile.
Ma forse non è scontato ricordare che la Costituzione impone di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la piena integrazione dei disabili.
Seguendo il ragionamento della Consulta, basta effettuare una lettura congiunta dell’art. 2 Cost. (a norma del quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo) e dell’art. 3 Cost. (che, a protezione della stessa inviolabilità dei diritti, garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle ‘condizioni personali’, affidando altresì alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la libertà e l’uguaglianza nonché il pieno sviluppo della persona). Inoltre, sebbene l’art. 3 Cost. si riferisca espressamente ai soli cittadini, la norma in esso contenuta vale pure per lo straniero quando si tratta di rispettare diritti fondamentali, ancor più quando, come nel caso di specie, si tratta di uno straniero al quale sia stata concessa la cittadinanza e che deve solo adempiere una condizione per l’acquisto della stessa.
E’ irragionevole e discriminatorio, quindi, impedire al disabile di acquistare la cittadinanza, alla luce del processo di inserimento dei portatori di disabilità nella società.
Un inserimento che, ove siano soddisfatte le altre condizioni previste dalla legge che regola l’acquisto della cittadinanza, è evidentemente impedito dall’imposizione normativa del giuramento alla persona in ragione di patologie psichiche di particolare gravità a causa delle quali sia incapace di prestarlo.
La sua necessità e la conseguente mancata acquisizione della cittadinanza in sua assenza possono determinare una forma di emarginazione sociale che esclude irragionevolmente il portatore di gravi disabilità dal godimento della cittadinanza, intesa quale condizione generale di appartenenza alla comunità nazionale, oltre a determinare un’ulteriore e possibile forma di emarginazione anche rispetto ad altri familiari che abbiano conseguito la cittadinanza.
Più morale dunque e meno lex, almeno ogni tanto.
Egidio Oronzo
Avvocato